Polpo, 2000/2001

Luigi Mainolfi
Fusione in bronzo
150 cm
La scultura come pelle del mondo
Luigi Mainolfi è un artefice di superfici sensibili, un costruttore di forme che respirano la materia e ne assorbono il tempo. La sua ricerca si inscrive in un territorio di resistenza plastica, un orizzonte dove la scultura si fa pelle del mondo, membrana porosa che trattiene le energie della natura e della storia.
Dagli anni Settanta, il suo lavoro si muove in direzione opposta alla freddezza industriale del minimalismo, recuperando il calore del modellato e la fisicità dell’argilla, del bronzo, del legno. Mainolfi riscopre un gesto originario, quasi arcaico, che è costruzione e racconto, sovrapposizione di strati e pulsione alla verticalità. Le sue opere emergono come scaglie geologiche, corpi totemici che evocano la memoria di un paesaggio in metamorfosi.
La sua scultura è un luogo di condensazione, un atlante di forme in cui il mitico e l’organico convivono. I suoi volti senza tempo, le città montuose, le presenze antropomorfe, tracciano una cartografia della materia in cui il gesto diventa rito, la forma si fa radice, e l’oggetto si sottrae alla gravità per trasformarsi in soglia, passaggio tra la dimensione terrestre e quella cosmica.
Mainolfi non scolpisce, semina. Non impone, lascia affiorare. Il suo è un lavoro di emersione, di stratificazione e scavo, dove la scultura non è mai statica ma sempre in bilico tra il peso e la luce, tra la terra e l’orizzonte. Un’arte che si fa corpo vivo, affioramento tellurico, pulsazione primigenia di un universo in continua espansione.

Polpo, 2000/2001

Luigi Mainolfi
Fusione in bronzo
150 cm
La scultura come pelle del mondo
Luigi Mainolfi è un artefice di superfici sensibili, un costruttore di forme che respirano la materia e ne assorbono il tempo. La sua ricerca si inscrive in un territorio di resistenza plastica, un orizzonte dove la scultura si fa pelle del mondo, membrana porosa che trattiene le energie della natura e della storia.
Dagli anni Settanta, il suo lavoro si muove in direzione opposta alla freddezza industriale del minimalismo, recuperando il calore del modellato e la fisicità dell’argilla, del bronzo, del legno. Mainolfi riscopre un gesto originario, quasi arcaico, che è costruzione e racconto, sovrapposizione di strati e pulsione alla verticalità. Le sue opere emergono come scaglie geologiche, corpi totemici che evocano la memoria di un paesaggio in metamorfosi.
La sua scultura è un luogo di condensazione, un atlante di forme in cui il mitico e l’organico convivono. I suoi volti senza tempo, le città montuose, le presenze antropomorfe, tracciano una cartografia della materia in cui il gesto diventa rito, la forma si fa radice, e l’oggetto si sottrae alla gravità per trasformarsi in soglia, passaggio tra la dimensione terrestre e quella cosmica.
Mainolfi non scolpisce, semina. Non impone, lascia affiorare. Il suo è un lavoro di emersione, di stratificazione e scavo, dove la scultura non è mai statica ma sempre in bilico tra il peso e la luce, tra la terra e l’orizzonte. Un’arte che si fa corpo vivo, affioramento tellurico, pulsazione primigenia di un universo in continua espansione.