L’ossessione della materia tra sovversione e memoria
Alighieri Boetti si muove sul crinale di un linguaggio che è al contempo tensione e dissoluzione, un attraversamento stratificato della materia che si fa corpo e memoria. La sua pratica, radicata in una ricerca incessante sulle possibilità della forma, scardina la tradizione plastica per generare un campo di forze dove il gesto è sempre un atto di interrogazione.
Dagli esordi, segnati da una fisicità rude e un’archeologia del frammento, Boetti innesta nella sua produzione un lessico che è scultura e anti-scultura, un dialogo costante tra il peso e l’assenza, tra il pieno e il vuoto. Lavori che non si limitano a occupare lo spazio, ma lo ri-significano, lo rendono terreno di collisione tra tensioni storiche e dinamiche contemporanee.
L’intervento di Boetti è una sorta di scavo, un’operazione che sovverte l’inerzia del materiale per restituirne una potenzialità altra. Nei suoi lavori, il metallo si piega a una grammatica che è insieme industriale e organica, il cemento si fa epidermide porosa, la superficie rifrange memorie di un tempo stratificato, mai concluso.
Inserito in una linea di continuità con le esperienze dell’Arte Povera, ma con una consapevolezza plastica che lo proietta oltre il paradigma della sottrazione, Boetti costruisce un lessico di elementi primari che si manifestano come tracce di un’azione, impronte di un attraversamento che è al contempo archeologico e futuribile. Un artista che non si accontenta di contemplare la storia, ma la interroga con la ferocia di chi sa che l’unica forma possibile è quella della trasformazione.
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