Una vita in transito tra segno e rivolta
Ugo Attardi attraversa il Novecento come un perturbatore, un visionario che impasta forma e contenuto nella materia stessa della storia. Nato a Sori nel 1923 e cresciuto nel fuoco di un secolo fratturato, si muove tra pittura e scultura con un’energia che è al contempo affermazione e dissenso. La sua traiettoria è quella di un artista che si nutre del reale per sovvertirlo, in un costante braccio di ferro tra tradizione e rinnovamento.
Dopo l’Accademia di Belle Arti di Palermo, si radica a Roma nel dopoguerra, respirando l’aria densa dell’impegno politico e dell’inquietudine esistenziale. È tra i fondatori del Gruppo Forma 1 nel 1947, collettivo che cerca di saldare il marxismo con l’astrazione, ma ben presto Attardi si svincola da ogni ortodossia: il suo segno si fa ribelle, carnale, inquieto. La figurazione diventa strumento di tensione e di protesta, un’epica dell’umano che affonda nel mito e nella memoria collettiva.
Negli anni Sessanta e Settanta il suo lavoro si dilata: dalla tela alla scultura, dalla grafica all’editoria, con opere che declinano un linguaggio dirompente, erotico e tragico insieme. Le sue figure sono corpi in transizione, protesi in una gestualità eroica e vibrante, cariche di una tensione che le strappa dal tempo e le getta nella dimensione del simbolo.
Attardi è un nomade dell’immaginario, un viaggiatore della forma. Le sue sculture monumentali – da Ulisse a Cristoforo Colombo – si installano nello spazio pubblico come epifanie di una modernità che affonda nel mito, incarnazioni di un viaggio perenne alla ricerca di senso. L’America, il Mediterraneo, la classicità rivisitata: il suo sguardo attraversa i continenti e i secoli, tessendo un racconto visivo che è insieme lirico e combattivo.
L’opera di Attardi è, in definitiva, un atto di resistenza. Un’arte che non si piega all’inerzia dell’astrazione pura né alla rappresentazione sterile, ma si fa corpo, carne e gesto. La sua ricerca è un’esplorazione incessante dell’umanità in conflitto, una cartografia del desiderio e della lotta, tracciata con il furore di chi vede nell’arte un’arma per incidere la realtà.
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