L’epifania della pittura tra luce e memoria
Salvo è un archeologo della visione, un costruttore di paesaggi che esistono tra il ricordo e la reinvenzione, tra il colore e la luce assoluta. Il suo percorso, dalle prime sperimentazioni concettuali al ritorno radicale alla pittura, è una dichiarazione di autonomia, un gesto che rifiuta il tempo lineare per abitare uno spazio sospeso, mitico, dove la storia dell’arte si rigenera in immagini cristalline.
Negli anni Settanta, dopo aver attraversato la riduzione analitica del linguaggio, Salvo compie un atto di sovversione: torna alla pittura con la consapevolezza di chi non cerca il nuovo, ma la permanenza dell’arte come esperienza totalizzante. Le sue montagne, le sue architetture luminose, i suoi cieli innaturali sono visioni che condensano la memoria di Piero della Francesca, le architetture metafisiche di De Chirico, la plasticità della pittura pompeiana.
Nelle sue tele, il paesaggio non è mai mera rappresentazione, ma costruzione mentale, spazio di contemplazione e di mistero. Il colore, saturo e compatto, non descrive, ma rivela: ogni montagna, ogni albero, ogni tempio è un’apparizione, un’epifania che si offre come soglia tra la dimensione sensibile e quella interiore.
Salvo non dipinge il mondo, lo reinventa. Le sue opere non sono narrazione, ma affermazione di una pittura che è sempre presente, fuori dal tempo, come un orizzonte che si ripete e si trasforma, eterno e inesauribile.
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