La scultura come forza tellurica
Giuseppe Spagnulo (1936-2016) è stato un maestro della scultura intesa come atto primordiale, come confronto diretto con la materia e con la gravità. Forgiatore di ferro e terra, ha costruito un lessico plastico fatto di pesi e tensioni, di equilibri instabili e di energie compresse, riportando la scultura a un livello arcaico, brutale, in cui il gesto è ancora traccia di una lotta tra l’uomo e la materia.
Nato a Grottaglie, terra di antica tradizione ceramica, Spagnulo eredita dal padre l’amore per il fuoco e per la manipolazione della materia. Formatosi tra Faenza e Milano, negli anni ’60 lavora con i grandi della scultura moderna – Lucio Fontana, Arnaldo Pomodoro – ma presto sviluppa una visione autonoma, rifiutando ogni decorazione per spingere la scultura verso una dimensione di scontro fisico con il materiale.
Il ferro, la terracotta, l’acciaio corten diventano i protagonisti di una ricerca che sfida le leggi della stabilità. I suoi lavori sono architetture ferite, blocchi imponenti che sembrano franare su se stessi, elementi verticali che si ergono come menhir industriali, segnati dalla fatica del gesto e dalla violenza del fuoco. Nei suoi lavori degli anni ’70 e ’80, il ferro diventa un corpo vivo, modellato con tagli, saldature, strappi, in un dialogo serrato con la memoria della terra e della civiltà.
Ma Spagnulo non è solo scultore della massa e della materia: la sua opera è anche un racconto di forze in tensione, di spazi negativi che diventano altrettanto protagonisti della composizione. La sua è una scultura che sta sempre tra rovina e costruzione, tra gesto e forma, tra peso e vuoto, come una memoria arcaica che riaffiora in pieno Novecento, restituendo alla scultura il suo valore di gesto originario, essenziale, inesorabile.
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